Riprendiamo qui l’articolo apparso il 12 novembre 2016 su La nuova Bussola Quotidiana.
Di À Rebours (Controcorrente), il capolavoro letterario di Joris-Karl Huysmans e modello assoluto del decadentismo europeo da Wilde a D’Annunzio, il critico e scrittore Barbey D’Aurévilly ebbe a dire: «Dopo un libro tale non resta altro all’autore che scegliere tra la canna di una pistola e i piedi della croce».
Il lungo percorso di risalita di Huysmans dall’abisso alla croce si snoda nello specchio delle avventure del suo alter ego, il personaggio Durtal.
Anch’egli scrittore, Durtal fa la sua comparsa nel romanzo Là-bas(L’abisso), nel corso del quale ispeziona a fondo la mancanza di senso e la desolazione morale della società borghese, fa un’immersione nei bassifondi materiali e spirituali del suo tempo, e ne esce sconvolto fin nell’intimo. Il nevrotico Des Esseintes, protagonista di À Rebours, tornato alla mediocrità della vita sociale e divenuto – letterariamente – Durtal, inizia le ricerche per scrivere un libro storico su Gilles De Rais e, per questo tramite, è condotto negli ambienti esoterici di Parigi, fino ad assistere a una messa nera, la prima descritta in un romanzo. Proprio quest’apertura così inquietante sul mondo dello spirito porterà il protagonista Durtal a un percorso di conversione alla fede cattolica. È la stessa parabola della vita del suo autore, Huysmans, che dal naturalismo e positivismo delle prime opere, passando per il decadentismo, arriva alla letteratura spirituale e quasi liturgica dei suoi ultimi romanzi: En Route (Per stada), La Cathédrale (La cattedrale) e L’Oblat (L’oblato).
Huysmans giunge infatti a criticare l’illusione di una felicità mediocre di stampo borghese, i miti di americanismo ed efficientismo, il positivismo come religione secolarizzata, la fede cieca nella scienza e nel progresso. Dopo un primo momento di cupo pessimismo influenzato dalla lettura di Schopenhauer, Durtal-Huysmans reagisce al vicolo cieco spirituale in cui si è cacciato, anche grazie alla descrizione di quella messa nera, paradossale apertura alle esigenze dello spirito.
La frequentazione di don Arthur Mugnier e, soprattutto, un soggiorno presso l’abbazia trappista di Igny, lo porteranno definitivamente ai piedi della croce. Dal momento della sua conversione, Huysmans diviene un paladino della bellezza della fede cattolica, un appassionato conoscitore e divulgatore dell’arte cristiana, soprattutto di quella medievale, raffinato cultore di canto gregoriano, di architettura romanica e gotica, di agiografia. Rimane in Durtal-Huysmans la stessa componente aristocratica ed estetizzante del vecchio Des Esseintes, ma purificata dal prisma dell’osservanza di una regola, di una liturgia e – attraverso queste – finalmente dall’abbandono in Cristo.
Huysmans dopo la conversione diviene oblato benedettino del monastero di Ligugé, rappresentato letterariamente ne L’oblato dal monastero della Val des Saints, ma poco dopo è costretto – proprio come Durtal – a tornare a Parigi in seguito alle leggi anticlericali del 1901, che esiliarono dalla Francia decine di ordini religiosi.
Ma l’uscita dal proprio rifugio per tornare a Parigi non è più la sconfitta patita da Des Esseintes al termine di À Rebours, è vissuta invece con abbandono a Dio e attraverso la viva presenza di un mondo interiore che non è più il frutto di un appagamento snervante dei sensi, ma sigillo di una ritrovata unità proprio nella frequentazione quotidiana della regola di san Benedetto e della liturgia monastica. La volontà non è più lasciata a sé stessa, così come il senso del bello non parte semplicemente da un’inclinazione estetica personale, ma entrambi scaturiscono dall’oggettività della norma liturgica.
C’è, in Durtal, un giudizio sulla storia e sulla salvezza, che giunge alla speranza nella nascita di una nuova civiltà cristiana irradiante dalla spiritualità e dall’arte benedettine. La bellezza con cui ha ora a che fare non è il mondo auto-generato di Des Essenintes, ma una presenza esterna al soggetto, un dato di fatto presente nel creato e nell’opera di Cristo nella storia, che il singolo può solo contemplare facendosene plasmare. Proprio da tali considerazioni derivano anche alcuni severi giudizi che Durtal esprime sul cattolicesimo dei suoi tempi e sulla decadenza della liturgia e dell’arte cristiana.
L’oblato, romanzo in cui non accade quasi nulla, che segue per alcuni mesi la liturgia del monastero della Val des Saints, che si snoda in qualche conversazione con i suoi monaci o in qualche visita ai musei e alle chiese di Digione, è però un romanzo in cui sono contenute moltissime suggestioni: l’arte fiamminga, la storia del breviario romano e di quello benedettino, il canto piano, la botanica, la farmacopea medievale, la storia degli ordini monastici e degli oblati benedettini, delle toccanti riflessioni sul valore salvifico della sofferenza… È un romanzo intensamente liturgico, solenne, capace di suscitare una profonda nostalgia di bene, che si conclude con lo slancio dell’anima di Durtal: «Ah! Mio caro Signore, dacci la grazia di non mercanteggiare così, di non evitare una volta per tutte di vivere alla fin fine non importa dove, a patto però che sia lontano da me stesso e vicino a Te!».
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