Ripropongo anche qui una mia scheda di lettura del libro di Rod Dreher The Benedict Option. A Strategy for Christians in a post-Christian Nation, Sentinel, New York 2017, che è stata gentilmente ospitata dal sito Ontologismi.
Cap. I La grande alluvione
Siamo nell’epoca della fine della cristianità, per decenni i cristiani hanno creduto di essere “moral majority” e che avrebbero avuto la meglio sulla mondanità (nichilismo, individualismo, materialismo…).
“Ci siamo detti che tali sviluppi sono stati imposti da una élite liberale, perché la verità ci sembrava intollerabile: il popolo americano, attivamente o passivamente, approva” (p.9).
“Non abbiamo solamente perso la pubblica arena, ma quello che credevamo essere il terreno sicuro delle nostre chiese a sua volta non è più un posto sicuro” (p.9).
Nel 2005 i due sociologi Christian Smith e Melinda Lundqvist Denton hanno condotto un’analisi sulla vita religiosa e spirituale dei giovani americani e hanno trovato che un gran numero di essi aderiva a quel che i due sociologi chiamano “Moralistic Therapeutic Deism” (deismo moralista terapeutico, DMT d’ora in poi):
- Esiste un Dio che ha creato il mondo e veglia sulla Terra;
- Dio vuole che le persone siano buone, carine, gentili le une con le altre, come insegnano la Bibbia e la maggior parte delle religioni del mondo;
- Lo scopo centrale della vita è di essere felici e sentirsi bene con sé stessi;
- Dio non ha bisogno di essere particolarmente coinvolto nella vita delle persone, eccetto quando c’è la necessità di risolvere un problema;
- Le brave persone vanno in paradiso quando muoiono.
Sono passati 12 anni da questa indagine, e possiamo dire che il DMT si è ulteriormente diffuso, non solo tra i giovani, ma è de facto la religione anche di gran parte degli adulti americani e ciò è l’esito, tra l’altro, di un capitalismo fatto di consumismo di massa e individualismo liberale.
“La cristianità che viviamo nelle nostre famiglie, congregazioni e comunità è un mezzo di più profonda conversione, o funziona come vaccino contro un approccio alla fede che abbia la serietà che il Vangelo richiede?” (p.12).
Siamo in un’epoca che è un fiume in piena, non siamo in grado, politicamente, di contrastare e vincere il diluvio che arriva. Piuttosto che sprecare energie e risorse combattendo battaglie politiche che non possono essere vinte, dovremmo invece occuparci di costruire comunità, istituzioni e reti di resistenza che possono superare in astuzia, durare più a lungo e infine sconfiggere l’occupazione” (p. 12).
Dreher dice che ci siamo già trovati in una situazione simile, e precisamente nei primi secoli del cristianesimo, quando la Chiesa primitiva sopravvisse e si diffuse anche durante le persecuzioni dell’Impero romano. “Noi cristiani contemporanei dobbiamo imparare dal loro esempio, e in particolare da quello di san Benedetto. Quella di Benedetto era un’epoca di decadenza: circa settant’anni prima della sua nascita i Visigoti avevano saccheggiato la Città Eterna. Ciò portò a una terribile crisi. San Girolamo scrive: “La città che aveva conquistato il mondo intero fu essa stessa conquistata” (cit. a p. 13).
In questo contesto gli uomini sono portati a guardare con maggiore speranza alla città celeste e al regno di Dio, essendo il regno degli uomini in rovina. È il contesto in cui sant’Agostino scrive La città di Dio. Roma è in declino, nel 476 l’ultimo imperatore è deposto. Il potere passa nelle mani dei popoli invasori, all’epoca di san Benedetto, in particolare, le istituzioni sono nelle mani del visigoto Teodorico, che governa da Ravenna, ma rende omaggio formale a Roma.
In tale scenario Benedetto si allontana da Roma e dalla sua corruzione e si ritira prima ad Affile, poi in un eremitaggio in una grotta. Nel tempo nasceranno numerose comunità attratte dalla sua figura e dalla sua santità. A tali comunità Benedetto consegna una Regola, perché la vita che vi si conduce sia disciplinata e ordinata verso Dio.
Grazie a Benedetto, un’attenzione rinnovata per la vita spirituale porta numerosi uomini e donne a lasciare il mondo e dedicare sé stessi interamente a Dio, all’interno delle mura dei monasteri sotto la Regola. Tali monasteri mantennero vive la fede e la cultura all’interno delle proprie mura, evangelizzarono le popolazioni barbariche e insegnarono loro a pregare, leggere, coltivare e costruire. Nel corso dei pochi secoli che seguirono essi prepararono le società devastate dell’Europa post-romana per la rinascita della civiltà (p. 15).
“L’esempio di Benedetto ci dà oggi speranza, perché mostra cosa può compiere un piccolo drappello di credenti che rispondono creativamente alle sfide del proprio tempo e luogo, incanalando la Grazia che scorre attraverso loro per la loro apertura radicale a Dio e incarnando tale grazia in un diverso modo di vivere” (p.16).[1]
Si cita After Virtue, di Alasdair MacIntyre, in particolare, in particolare “Vivere ‘dopo la virtù’ allora significa dimorare in una società che non solo non può più convenire su ciò che costituisce una credenza e una condotta virtuosa, ma dubita inoltre che tale virtù esista” (p. 16).[2]
I barbari attuali, guidati esclusivamente dalla volontà di potenza, senza alcun riguardo nei confronti di ciò che possono distruggere, “sono al lavoro per demolire la fede, la famiglia, il genere e persino il significato dell’essere umano” (p. 17).
Quando l’impero è troppo corrotto per essere salvato, la sola saggezza è di abbandonarne le strutture sociali e dar vita a una nuova comunità, capace di preservare la fede. “I cristiani assediati dalla violenta alluvione della modernità attendono qualcuno come Benedetto che costruisca delle arche in grado di trasportare loro e la fede vivente attraverso il mare della crisi, un’epoca buia che può durare per secoli” (p.18)
Se i credenti non si separano da questo mondo la loro fede non sopravvivrà per un’altra generazione. La politica non li salverà. “(…) essi hanno compreso che il regno di cui sono cittadini non è di questo mondo e hanno deciso di non compromettere tale cittadinanza” (p. 18).[3]
L’Opzione Benedetto è esattamente questo: una strategia per radicarsi nella Scrittura e nella Tradizione e formare una vibrante controcultura.
“Riconoscendo le tossine del secolarismo moderno, così come la frammentazione causata dal relativismo, i cristiani dell’Opzione Benedetto guardano alla Scrittura e alla Regola di san Benedetto per trovare modi per coltivare pratiche e comunità” (p. 18).
Cap. II Le radici della crisi
La crisi religiosa dell’Occidente ha creato uno stato di crisi anche sociale, posto che il ruolo della religione è appunto “religare”, legare l’uomo in sé stesso, a Dio e a una comunità. L’assenza di religione ci ha resi una società liquida (v. Zygmunt Bauman). Dreher indica alcune tappe della storia del pensiero occidentale che portano alla crisi attuale. Se il Medioveo, secondo il filosofo Charles Taylor, è l’epoca del “mondo incantato”, nulla è più lontano da questo del mondo moderno. Nel Medioevo, l’uomo sperimenta il divino come una presenza nella propria vita, non solo come un fatto di fede, ma come una vera e propria esperienza. Lo spirituale e il materiale di compenetrano, si sperimenta la sacramentalità del mondo. Gli uomini medievali “credevano che Dio fosse presente ovunque e che si rivelasse a noi attraverso le persone, i luoghi, le cose, tramite i quali il Suo potere fluisce” (p. 24). Per l’uomo medievale la realtà esiste, è al di fuori di lui e, per via della caduta del peccato originale, non può comprenderla a pieno, ma vi si può relazionare razionalmente, attraverso la ragione e la fede. La presenza di Dio permea ogni atomo dell’universo e l’uomo può tentare di comprenderlo secondo le proprie possibilità. “La verità è garantita dell’esistenza di Dio, il cui Logos, il principio dell’ordine divino, si è reso interamente manifesto in Gesù Cristo, ma è presente in vario grado in tutta la Creazione” (p. 25).
L’uomo vive in un cosmo in cui ogni parte è legata al tutto, il particolare all’universale. In questo contesto si sviluppano la filosofia di san Tommaso (1225-1274) e la scolastica.
L’uomo medievale ha alcuni punti fermi:
- Il mondo e tutto ciò che contiene è parte di un tutto armonioso, ordinato da Dio e dotato di significato e ogni cosa è un segnale che indica Dio.
- La società è radicata in tale realtà superiore.
- Il mondo è carico di forza spirituale.
I passaggi storico-filosofici che mandano in frantumi tale visione organica del mondo sono:
- Nominalismo: per i nominalisti il mondo e la natura non hanno in sé alcun significato se non quello che Dio vuole attribuire loro. La ragione non può esplorare il mondo, ma solo la fede può farlo. Un Dio davvero onnipotente, secondo Guglielmo da Ockham (1285-1347), non può essere limitato neppure dalla propria creazione. Ciò che è buono non lo è in sé, ma solo per volere di Dio. Questo è, secondo Dreher, un primo passo verso il disincanto del mondo, l’arte diviene meno simbolica, l’uomo cessa di cercare i segni di Dio in ogni cosa e finisce inevitabilmente col concentrarsi su sé stesso, dando vita a un nuovo individualismo.
- Rinascimento e Riforma: l’umanesimo porta il fulcro dell’attenzione sulle potenzialità dell’uomo “misura di tutte le cose”; non ha ancora abbandonato Dio, ma gli ha tolto la collocazione centrale nell’Universo. La Riforma luterana ha come idea-guida il libero esame della Scrittura, ma presto si ingolfa in dispute su quali siano le interpretazioni ritenute autorevoli: visto che non può separarsi dalla politica, finisce con il coinvolgimento in una serie di guerre di potere e di religione che minano ulteriormente il rapporto dell’uomo con Dio.
- Illuminismo: con la rivoluzione scientifica il cosmo aristotelico-cristiano lascia il passo a un universo meccanico governato da leggi di natura, che non ha più bisogno di trascendenza. Tale cambiamento ha le proprie radici nel nominalismo. “Il mondo naturale non era più da assumersi come qualcosa da contemplarsi, come icona del divino, ma piuttosto come qualcosa che va compreso e manipolato dalla volontà dell’uomo per il proprio vantaggio. In tal modo la rivoluzione scientifica allontana ulteriormente Dio dalla creazione, nelle menti degli uomini” (p. 33). Con Cartesio (1596-1650) si ha il trionfo del razionalismo. “Per la scolastica la realtà era uno stato oggettivo e il ruolo dell’umanità era prima di tutto di comprendere la natura metafisica della realtà. Solo allora gli esseri umani possono iniziare a esplorare la conoscenza del mondo e tutto ciò che è in esso. Cartesio, d’altra parte, inizia ogni indagine con un soggettivismo radicale, dichiarando che il primo principio della conoscenza è l’Io conscio di sé stesso” (p. 34). L’Illuminismo è un tentativo di trovare le basi della verità morale comune al di fuori della religione, nella razionalità. Non siamo ancora all’ateismo, ma al teismo. Un altro passo è la filosofia di John Locke (1632-1704), che è alla base della costituzione americana. Per Locke l’uomo nasce come una tabula rasa, senza natura innata, e il fine della sua vita non è la virtù, ma di stabilire un ordine sociale che possa garantirgli il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà (“la ricerca della felicità”, v. la Dichiarazione di indipendenza degli USA). La religione diventa privata, il governo non ha una propria concezione del bene e del male.
- Democrazia, capitalismo, romanticismo: tra XVIII e XIX secolo la rivoluzione industriale pone termine alla società rurale, le gerarchie tradizionali e la famiglia iniziano a dissolversi. Lo stesso avviene con le monarchie e le gerarchie sociali. I romantici, pur avversando il razionalismo, non hanno interesse a restaurare un mondo cristiano, preferiscono rifugiarsi in una fuga individuale e nell’arte, nella natura e nella cultura. Alla fine del XIX secolo anche il mondo cristiano si riorganizza su direttrici progressiste e moderniste. Il concetto di persona è sostituito dal Sé della psicologia.
- Il trionfo dell’eros: si va verso quella che Zygmunt Bauman ha definito “una società liquida”. Freud vede l’eros come la forza primigenia che spinge l’uomo. Il tutto prende un aspetto “scientifico”. Secondo Philip Rieff (interprete di Freud) “l’uomo religioso nasceva per essere salvato. L’uomo psicologico nasce per essere compiaciuto” (p. 41). Con la rivoluzione culturale degli anni 1960, e con quella sessuale, l’uomo, anche grazie alla diffusione della contraccezione, rompe ogni legame con l’aspetto riproduttivo della sessualità, divenendo un individuo totalmente autoreferenziale, dedito al piacere e alla realizzazione personale, completamente autonomo, incapace di trovare ogni senso all’esistenza, che non sia nella sua interiorità. Questo modo di pensare penetra anche dentro la Chiesa e veniamo appunto al deismo moralista terapeutico dei nostri giorni. “L’Occidente ha perso il filo dorato che ci lega a Dio, alla creazione e gli uni agli altri” (p. 46). Il modo di conservare e trasmettere questo filo dorato ha a che fare con una luce che non può essere spenta, la Luce di Cristo. Nei monasteri benedettini del Medioevo, che fecero un tempo ciò che speriamo di fare oggi – conservare e trasmettere – lo strumento di riuscita fu la Regola, con la sua capacità di ordinare la vita dei singoli e delle comunità, al fine di renderla, per quanto possibile, un terreno fertile per l’azione della Grazia.
Capitolo III Una regola di vita
La regola è un antidoto alla frammentazione interiore del mondo moderno. La cultura moderna porta in sé forze di dissoluzione troppo potenti per essere contrastate da singoli individui o anche da famiglie isolate: abbiamo bisogno di riunirci in comunità stabili di fede. La regola non è un impedimento, ma al contrario uno strumento che “coltiva” gli esseri umani e le loro relazioni, rendendoli in grado di convogliare energie spirituali e umane, al fine di costruire qualcosa e di trovare la presenza di Dio nella vita quotidiana. Non è sufficiente una sana dottrina, ma questa va messa al lavoro al fine di convertire i cuori. La regola “è un manuale di istruzioni per plasmare la propria vita attorno al servizio di Gesù Cristo, all’interno di una forte comunità” (p. 53).
Nell’opzione Benedetto non stiamo tentando di salvare l’occidente, “stiamo solo cercando di costruire un modo di vita cristiano che si stagli come un’isola di santità e stabilità nel mezzo dell’alta marea della modernità liquida. Non stiamo tentando di costruire il paradiso in terra, stiamo semplicemente cercando un modo per rimanere saldi nella fede in un tempo di grande prova. La Regola, con la sua visione di una vita ordinata, centrata su Cristo e le pratiche che prescrive per rafforzare la nostra conversione, ci può aiutare a raggiungere questo scopo” (p. 54).
La Regola si basa su alcuni cardini: ordine, preghiera, lavoro, ascesi, stabilità, comunità, ospitalità, equilibrio.
ORDINE: dobbiamo ordinare correttamente le nostre vite rispetto alla realtà e rispetto a Dio. San Benedetto ci ricorda che Dio è particolarmente presente nell’Opus Dei, cioè nella preghiera liturgica “(…) il monaco benedettino non pensa che le cose del mondo abbiano un senso solo se si decide di attribuirgliene uno. Il monaco sa che tale significato esiste oggettivamente, nel mondo naturale creato da Dio, ed è lì per essere scoperto dalla persona che si è distaccata dalle proprie passioni e che cerca di vedere come Dio vede” (p. 55).
L’ordine produce l’umiltà e anche la fortezza spirituale, permette di ordinare tutta la nostra esistenza al bene e di acquisire l’abitudine alla virtù.
PREGHIERA: la preghiera è la vita dell’anima e la regola porta a vivere in preghiera profonda e costante. Il tempo per la preghiera e la lectio divina, il coinvolgimento dell’anima e del corpo, portano a una vita alla presenza di Dio.
LAVORO: il lavoro per il monaco è un mezzo di santificazione, è collaborare all’ordine della creazione di Dio, conferendo un ordine al mondo che abitiamo. È inoltre l’occasione di esprimere, per suo tramite, l’amore per il prossimo. Come cristiani in una società non cristiana talora alcune professioni ci saranno interdette, se vogliamo mantenere la nostra coerenza, dobbiamo quindi essere pronti a cambiare professione, riorientandoci verso Dio anche in questo ambito.
ASCESI: askesis in greco significa “allenamento”. La Regola propone una vita acetica, con poche comodità, digiuni, lavoro, veglie… in tal modo ci si allena ad ignorare i propri desideri, per mettere invece al primo posto Dio. Il digiuno, in particolare, ci allena ad essere fedeli nel poco nell’attesa di quando dovremo esserlo nel molto e ci purifica del disordine della nostra volontà, degli appetiti disordinati, ci permette di offrire a Cristo le nostre sofferenze, ci abitua al dominio di noi stessi.
STABILITA’: in un mondo che spezza sempre di più i legami tra le persone, all’interno delle comunità e persino delle famiglie, la stabilità è contro-culturale. Significa stare fermi ai piedi di Cristo “ti ancora e ti dà la libertà che viene dal non essere soggetti al vento, alle onde, alle correnti della vita quotidiana. Crea le condizioni ordinate nelle quali il pellegrinaggio interiore dell’anima verso la santità diviene possibile” (p. 67).
COMUNITA’: i monaci nei monasteri costituiscono una famiglia spirituale e la regola li spinge a coltivare l’amore reciproco, in comunità, L’amore per il prossimo non è possibile al di fuori del rapporto concreto con un certo gruppo umano.
OSPITALITA’: ordine, preghiera, lavoro, stabilità e comunità creano un certo grado di separazione dal mondo, ma ciò deve essere bilanciato dall’apertura e dall’accoglienza dell’ospite, del forestiero, che secondo la Regola va accolto come Cristo stesso. Il compito del cristiano è di ampliare i confini del Regno di Dio.
EQUILIBRIO: l’equilibrio fra le varie parti della Regola la pone al riparo dal rischio di estremismi. Non è un equilibrio tra bene e male, ma tra diversi tipi di bene. L’equilibrio rende la regola adatta a tutti, forti e deboli, sani e malati, attivi e contemplativi. Sottoponendo sistematicamente corpo, mente e anima a una vita ordinata, centrata in Cristo, offriamo a chiunque una spiritualità accessibile e basata sul modello di Cristo stesso.
Leon Bloy dice: “La sola vera tristezza, il solo vero fallimento, la sola grande tragedia nella vita, è di non diventare santi” (citato a p. 76). I monaci di Norcia ci mostrano che la cristianità può vivere ancora, che Verità, Bellezza, Bontà possono essere ancora scoperte e riportate in vita. “L’opzione Benedetto conta sulle virtù contenute nella regola per cambiare il modo in cui cristiani affrontano la politica, la chiesa, la famiglia, la comunità, l’educazione, i nostri lavori, la sessualità e la tecnologia” (p. 77).
Cap IV Un nuovo tipo di politica cristiana
Per decenni ci si è illusi che fosse possibile frenare o anche invertire la tendenza in atto nella nostra società, semplicemente invocando un voto basato su alcuni valori (vita, famiglia…). Ma nel frattempo il percorso non è stato arrestato, anzi, la nostra società ha preso derive sempre più estreme e oggi non resta che constatare che la guerra culturale è stata persa. Siamo in un mondo post-cristiano e, almeno nel breve periodo, nessun voto potrà ribaltare questa realtà. Bisogna pertanto prima di tutto attrezzarsi per sopravvivere, per poter passare la nostra fede alle prossime generazioni, e poi pensare a nuove forme di intervento nell’arena pubblica, in parte ispirate ai dissidenti dell’Europa dell’Est e al “potere dei senza potere” di Vaclav Havel.
“La politica non è un sostituto per la santità personale. Il meglio che possa sperare un cristiano ortodosso dalla politica è che questa possa aprire uno spazio perché la Chiesa possa compiere il lavoro di carità, costruzione della cultura e conversione” (p. 82).
Cosa possiamo ancora fare? Essere attivi a livello locale, avere rapporti diretti e personali con i politici locali, avere obiettivi specifici e circoscritti, soprattutto per ciò che riguarda la libertà di educazione, rimanere corretti e rispettosi verso ogni persona. Lo spazio di ciò che possiamo raggiungere attraverso un’azione politica convenzionale si va assottigliando, siamo arrivati al punto in cui bisognerà scegliere tra essere buoni cristiani o essere buoni cittadini, si prepara una nuova forma di despotismo. È un errore credere, come fa la Costituzione americana, che il ruolo della civiltà sia di permettere all’individuo di conseguire tutto ciò che desidera: il suo ruolo è invece di sostenere le strutture famigliari, sociali e culturali che perpetuano e rafforzano forme di legame e di gratitudine interpersonale e intergenerazionale, i doveri reciproci.
Bisogna essere disposti a pagare un prezzo per vivere nella verità, come direbbe Havel, perché ciò ha effetti imprevedibili su noi stessi e sugli altri, permette di esercitare il potere dei senza potere, quello che mette negli ingranaggi i sassolini che fanno crollare i sistemi. Questa “politica anti-politica” deve mettere al primo posto la libertà di educazione. Partendo dal basso e dal piccolo, agendo localmente, le forze di cui disponiamo sono usate al meglio: prima di tutto formando una nuova generazione di cristiani, perseguendo poi la santità personale e creando una contro-cultura capace di sopravvivere e diffondersi anche nelle avversità. La politica non può risolvere problemi culturali e religiosi, solo una vita che non si limiti a evitare il male, ma che abbracci il bene, può permetterci di ripartire.
Cap. V Una chiesa per tutte le stagioni
La secolarizzazione ha raggiunto ormai l’interno delle nostre chiese. La cultura cristiana è stata sostituita da una cultura mondana tra i nostri giovani, nelle scuole e nelle comunità religiose.
Cultura è una parola legata è una parola legata al termine “cultus” ed è appunto sul piano cultuale che dobbiamo agire prioritariamente: tornare a una fede integra, eterna, liturgicamente radicata nella tradizione, significa tornare a un cibo buono e nutriente, invece che a scadenti surrogati. Non abbiamo bisogno di imitare le ultime (o penultime) mode del mondo all’interno delle nostre chiese, dobbiamo all’opposto rafforzare tutto ciò che viene da Dio e che porta verso Dio.
“Se le chiese attuali devono sopravvivere alla nuova epoca oscura, devono smetterla di ‘essere normali’. Avremo bisogno di dedicarci sempre più profondamente alla nostra fede, e dovremo farlo in modi che sembrano strani agli occhi dei contemporanei: riscoprendo il passato, salvando il culto liturgico e l’ascesi, centrando le nostre vite sulle comunità ecclesiali, rafforzando la disciplina delle chiese, saremo, con la Grazia di Dio, di nuovo le persone particolari che avremmo sempre dovuto essere. I frutti di tale attenzione alla formazione cristiana saranno non solo dei cristiani più solidi, ma anche una nuova evangelizzazione dato che il sale della terra recupererà il proprio sapore” (p. 102). Bisogna dunque riscoprire il passato (tradizione antica, patristica), recuperare il culto liturgico, quale espressione, prima di tutto, di ciò che Dio ha da dire a noi e non di ciò che noi abbiamo da dire a Dio.
La liturgia plasma e forgia coloro che vi partecipano, anima e corpo, è il modo che ha la storia cristiana di formare gli individui e, in definitiva, di plasmare la nostra immaginazione e il nostro cuore. Dobbiamo inoltre reimparare le abitudini ascetiche tradizionali cristiane: digiuno e astinenza, prima di tutto. Evangelizzare attraverso il bello e il buono. “Fortunatamente, quando le chiese sono ordinate a Cristo nel modo giusto attraverso la liturgia, con una vita mantenuta attraverso l’ascesi e la disciplina, il risultato è una netta bellezza in contrasto con il mondo. Via via che i tempi si faranno più duri, la Chiesa diverrà sempre più luminosa, attirando le persone alla propria luce. Mentre ciò accade, noi cristiani non dobbiamo temere di considerare bellezza e bontà come i nostri migliori strumenti per evangelizzare. ‘L’arte e i santi sono i migliori apologeti della nostra fede’, disse il cardinale Ratzinger, il futuro papa Benedetto XVI. Perché? Perché vedere degli esempi di grande bellezza e straordinaria bontà travalica le nostre facoltà razionali e colpisce il cuore. Alla bellezza e alla bontà rispondiamo immediatamente e desideriamo ciò che ci rivelano” (p. 117).
Bisogna inoltre accogliere l’esilio e la possibilità del martirio: la Chiesa non parla come il mondo e tanto più mantiene la propria dottrina integra, il proprio culto liturgico, il digiuno, l’astinenza e una radicale coerenza di vita, tanto più correrà il rischio della persecuzione e del martirio. Dobbiamo rendere più profonda e più solida la cultura cristiana dei singoli e delle comunità, perché solo così potremo resistere agli attacchi del mondo.
Cap. VI L’idea di un villaggio cristiano
“Il destino della religione in America è inestricabilmente legato al destino della famiglia, e il destino della famiglia è legato al destino della comunità” (p. 123).
La religione è come un linguaggio che può essere appreso solo in una comunità, cominciando dalla comunità costituita dalla famiglia, secondo Mary Eberstadt in How The West Really Lost God (2015). Quando comunità e famiglia vanno in frantumi, la trasmissione della religione è ostacolata. Basta il fallimento di una sola generazione per far sparire una tradizione (umanamente parlando).
La stessa libertà religiosa dipende da forti comunità religiose, proprio per questo bisogna rafforzare i legami reciproci. “È irrealistico sperare o aspettarsi di vivere in comunità così intensamente come fanno i monaci sotto la Regola, ma nell’opzione Benedetto non possiamo essere lassisti a proposito dei legami che ci legano gli uni agli altri” (p. 124).
Per far ciò è necessario trasformare le nostre case in monasteri domestici. “Proprio come la vita del monastero è ordinata a Dio, così deve esserlo anche la vita in famiglia” (p.124). Bisogna mettere Dio al primo posto, e ciò significa trovare e mantenere dei tempi fissati per la preghiera in famiglia, mettere al primo posto la vita della nostra comunità ecclesiale, anche quando confligge con impegni mondani, chiedere perdono quando pecchiamo contro gli altri. C’è una gerarchia ma, come in monastero, anche il parere del più piccolo può contenere la saggezza che manca agli altri.
“Una cultura dell’obbedienza è il marchio di un monastero in salute e di una famiglia in salute, ma i membri di entrambe le comunità devono vedere che tale autorità posta sopra di loro è a sua volta soggetta a un’autorità superiore” (p. 125). Sempre nel nostro monastero domestico siamo chiamati da un lato a fornire ospitalità ad altre famiglie, pellegrini, persone in difficoltà ma, allo stesso tempo, dobbiamo tenere fuori tutto ciò che contrasta con il fine di formare i propri membri in Cristo. Dreher parla dei mezzi di comunicazione, in particolare televisione e internet. Anche gli adulti devono limitarsi in tal senso, per dare l’esempio e come forma di continenza e di prudenza personale.
Dreher raccomanda inoltre di non aver paura di essere anticonformisti e bisogna fare il possibile perché i ragazzi, specie nell’adolescenza, abbiano un buon gruppo di coetanei, perché le ricerche indicano chiaramente che nulla forma il carattere di un giovane quanto le compagnie che frequenta. Purtroppo, non sempre è sufficiente che i giovani frequentino dei gruppi parrocchiali o ecclesiali, perché in molti casi questi mirano a intrattenerli più che a formarli. La buona notizia è che non solo i ragazzi si conformano ai coetanei e ne assorbono la cultura, perdendo quella di provenienza, in una singola generazione, ma per fortuna è vero anche il contrario: dei genitori attenti e un nuovo gruppo di compagni più adatto possono reindirizzare anche dei giovani che siano stati esposti a cattive influenze. La famiglia però, pur essendo un’icona della nostra fede, non deve essere idolatrata e considerata un fine in sé stessa, quasi opposta all’obiettivo di essere uniti a Dio: il rischio è che diventi tirannica, una specie di luogo paranoide, che teme ogni contatto ‘impuro’ con l’esterno.
Altro fattore importante è vivere vicino agli altri membri della propria comunità: non è sufficiente andare a Messa una volta alla settimana, vivere molto vicini al proprio luogo di culto e alla propria comunità, invece, permette una frequentazione quotidiana, perché “la chiesa non può essere soltanto il luogo dove si va la domenica, deve diventare il centro della propria vita” (p. 131).
“I benedettini strutturano tutta la loro vita, il loro lavoro, il riposo, le letture, i pasti, attorno alla preghiera. Ai cristiani nel mondo non si richiede di vivere allo stesso livello di concentrazione e intensità dei monaci nel chiostro, ma dobbiamo cercare di essere come loro nell’eliminare, per quanto possibile, la falsa distinzione tra chiesa e vita” (p. 131).
L’appartenenza a una comunità non sostituisce la preghiera e la relazione personale con Nostro Signore, ma “il dono della comunità è che essa edifica una struttura sociale nella quale per i cristiani diventa più facile udire e rispondere alla voce di Dio e in cui gli altri si sentono responsabili per loro se prendono una strada sbagliata” (p. 132). Anche lo sforzo di pazienza, umiltà e sopportazione richiesto dalla vita in comunità può essere un modo per santificarsi. Dobbiamo allo stesso tempo essere controculturali e “distinti” dal resto della società, ma anche impegnati in essa.
Come dice san Paolo (1Cor 12, 26-27), “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”.
Possiamo fare anche una sorta di “ecumenismo delle trincee”, collaborando con altre comunità religiose che condividono con noi importanti battaglie, come quelle su vita, famiglia e libertà di educazione. C’è un “fronte comune” contro l’ateismo e la secolarizzazione, che riguarda soprattutto cattolici e ortodossi.
L’amore per la nostra comunità non deve tuttavia farne un idolo. Le comunità devono sostenere, nutrire, ma non possono diventare maniache del controllo: non è questo aspetto “poliziesco” che vogliamo caldeggiare. La paura dell’impurità di tutto ciò che sta al di fuori della comunità stessa crea ambienti soffocanti, paranoici e dai quali ogni gioia è sradicata.
Infine, non bisogna far sì che il meglio sia nemico del bene. Non possiamo passare la vita a pianificare comunità perfette: ognuno di noi ha delle situazioni date da cui partire. Dai Tipi Loschi di san Benedetto del Tronto, a una piccola enclave cattolica al centro di Washington, l’importante è iniziare a intrecciare i rapporti e fare le iniziative che le condizioni permettono. Alla fin fine, “fare” l’opzione Benedetto significa essere semplicemente essere cristiani in modo radicale, nulla di più.
“Costruire comunità di credenti diverrà necessario via via che il numero dei credenti si assottiglia. Le comunità con una forte missione condivisa diverranno necessarie per avviare e sostenere scuole autenticamente cristiane e autenticamente controculturali (…) è difficile sovrastimare l’importanza della missione educativa cristiana. Insieme alla costruzione di un’assemblea di fedeli nella Chiesa, non c’è lavoro istituzionale più importante da fare nell’opzione Benedetto”. (pp. 142-143).
Cap. VII L’educazione come formazione cristiana
Durante gli anni della guerra fredda, nei paesi dell’est alcuni dissidenti tentarono di realizzare una polis parallela. In alcuni casi fallirono, in altri, come il caso polacco, invece riuscirono. Tuttavia “oggi alcuni polacchi, come il filosofo cattolico e prima dissidente Ryszard Legutko, lamentano che la fede e la cultura che il popolo aveva preservato attraverso la notte oscura del totalitarismo si stanno dissolvendo grazie al solvente del liberalismo secolare di stampo occidentale (che include edonismo e consumismo)” (p. 145).
Il cuore della nostra resistenza deve essere l’educazione, così come lo è stato per i monaci.
Michael Hany, docente del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Washington, dice:
“L’educazione deve essere il nucleo centrale della sopravvivenza cristiana, come lo è sempre stato (…) L’idea di base del monachesimo non era la semplice ritirata da un mondo corrotto al fine di sopravvivere (…), ma al suo cuore c’era la ricerca di Dio. Fu tale ricerca che richiese la conservazione dell’istruzione classica e la tradizione pagana da parte dei monaci, perché essi amavano ciò che era vero e bello, ovunque lo trovassero” (p. 145).[4]
In particolare, Dreher consiglia il curriculum che in America si chiama Classical Christian Education. È un percorso che si basa sui Great Books: i grandi classici della tradizione greco-latino-occidentale, che sono letti e dibattuti in piccoli gruppi.
“Ogni modello educativo presuppone un’antropologia: un’idea di ciò che è un essere umano” (p. 147). E precisamente, in un’ottica cristiana tradizionale, tale fine è amare e servire Dio con tutto cuore, tutta l’anima e tutta la mente, per raggiungere l’unità con Lui in eterno.
È importante sottolineare che non si tratta di un semplice sapere intellettuale, ma di una ricerca della verità, fatta nell’integralità dell’essere umano.
“Nella tradizione benedettina, l’apprendimento è totalmente integrato nella vita di lavoro e preghiera” (p. 148): san Benedetto, nella Regola, si rivolge ai monasteri chiamandoli “scuola del servizio del Signore”.
L’educazione non è intesa come puro accumulo di nozioni, ma come addestramento alle virtù, al lavoro manuale e alla bellezza.
In questo senso, è determinante insegnare la Scrittura ai ragazzi, non inserita tra una materia e l’altra, ma proprio come sostrato che ha rapporti con ogni ramo del sapere.
Inoltre, i giovani vanno immersi nella storia della civilizzazione occidentale. È importante che sappiano da dove vengono, che conoscano quali opere hanno creato l’attesa e la venuta di Cristo nella storia, come Dio abbia predisposto anche alcuni elementi della cultura pagana per preparare gli uomini alla venuta di Cristo. “L’educazione classica cristiana scaturisce dalla convinzione che Dio stia ancora facendo la stessa cosa attraverso l’arte, la letteratura e la filosofia del passato, sia greco-romana sia cristiana. Non possiamo comprendere l’Occidente senza la fede cristiana, e non possiamo comprendere la fede cristiana così come la viviamo oggi, senza comprendere la storia e la cultura dell’Occidente. Se le prossime generazioni mancheranno di imparare ad amare la nostra eredità culturale occidentale, la perderemo” (p. 153). E non basta presentare in maniera più o meno approfondita una di queste opere, bisognerà mostrare il tessuto connettivo che le rende un tutto coerente. “Abbiamo smesso di occuparci del passato perché esso inibisce la nostra capacità di cercare il piacere nel presente” (p.154). Bisogna andare oltre i semplici dati e arrivare a formare l’immaginazione morale degli studenti.[5]
Dreher inoltre caldeggia che le famiglie tolgano i figli dalle scuole pubbliche. Non si tratta solo di preservare i figli dal gender, dalla pornografia, dall’ateismo e dal relativismo, si tratta di fornire loro l’ambiente adeguato allo sviluppo di tutti gli aspetti della loro personalità compreso quello spirituale. Proprio per questo non dobbiamo illuderci a proposito delle scuole confessionali tradizionali. A volte sono fonte di razzismo e classismo, enclave di benestanti che coltivano il materialismo e il disprezzo nei loro figli. Inoltre, la maggior parte delle scuole private ha come focus solo una buona riuscita negli studi, che possa avere un buon esito di carriera. Ciò non è irrilevante, ovviamente, ma non può essere tutto.
Il consiglio di Dreher è di avviare, ove possibile, delle scuole che seguono il curriculum classico cristiano, cioè testi dell’antichità greco-romana e della tradizione cristiana. L’educazione classica cristiana non si occupa solo di coltivare la personale devozione degli studenti, ma armonizza tutti gli aspetti del sapere “Il fine è di nutrire i diplomati, i cui cuori desiderano verità, bene e bellezza, e che usano le proprie menti per scoprirle” (p.160)
Il riferimento è il trivio degli antichi (grammatica, retorica, dialettica) e al famoso saggio di Dorothy Leigh Sayers del 1947 “The Lost Tools of Learning”.[6] L’ideale sarebbe di armonizzare chiesa, scuola e vita famigliare, lasciando agli studenti i giusti tempi per la vita spirituale.
Qualora non fosse possibile fondare una scuola con il curriculum classico cristiano, allora Dreher suggerisce alle famiglie di ripiegare sull’homeschooling. Dal 2003 al 2012 l’homeschooling è cresciuto in America del 62% e riguarda circa il 3,4% delle famiglie statunitensi. Particolarmente importante per Dreher è la formazione universitaria, con la fondazione di vere e proprie università cristiane, ma anche con la gestione di college e case universitarie che forniscano agli studenti i servizi spirituali, formazione, solidi rapporti umani, un luogo di residenza ordinato.
Di nuovo, Dreher concepisce l’educazione classica cristiana come una specie di controcultura. Si citano anche i Tipi Loschi di Marco Sermarini, la loro scuola libera Chesterton di San Benedetto del Tronto e come, partendo dal semplice progetto di fare scuola ai figli di un paio di famiglie, si sia arrivati oggi a una scuola con una settantina di studenti, che frequentano la scuola secondaria di primo e di secondo grado, e alla nascita di numerosi progetti collaterali.
Cap. VIII Prepararsi per un duro lavoro
Nell’epoca post-cristiana, e in affinità con la Regola di san Benedetto, i cristiani potranno essere chiamati a riscoprire il lavoro manuale. A livello contingente, questo potrebbe essere dovuto alla necessità (o all’obbligo) di abbandonare alcune professioni incompatibili con la nostra fede. La professione di medico, insegnante nella scuola pubblica, giudice… potrebbe esigere con forza sempre maggiore che si “bruci incenso” alle autorità civili. Allora potrà essere necessario svolgere delle attività più manuali. Inoltre, non dobbiamo dimenticare la dignità che riveste il lavoro, anche manuale, nell’ottica cristiana e che il lavoro fisico ci ricorda che l’essere umano è anima e corpo, non solo anima.
Si è un po’ perso il senso della parola vocazione riferita al lavoro, bisogna però recuperarlo, perché si possa tornare a vedere nel lavoro non solo un dono di Dio, ma anche uno strumento per servire il prossimo.
Nella temperie attuale, i cristiani devono prendere atto che ci sono alcuni lavori che potranno essere sempre più essere oggetto di conflitti di coscienza: ad esempio tutte le professioni mediche per cui non è prevista l’obiezione di coscienza, medici obbligati a compiere aborti o volontà eutanasiche, farmacisti, ricercatori, insegnanti, ecc…
Nella Regola di San Benedetto il lavoro ha un ruolo importante, perché rispecchia un’antropologia cristiana, che vede l’uomo come composto di anima e corpo, non solo come creatura spirituale.
Il lavoro va dunque visto come una vocazione, ricevuta da Dio e da mettere al servizio del prossimo; svolgendolo “a maggior gloria di Dio” in realtà si collabora con l’ordine voluto da Dio nella creazione e si contribuisce a renderla ricca di frutti.
Nella Regola il lavoro è inoltre un mezzo per portare equilibrio nelle vite dei monaci: il primo posto va dato alla liturgia, cioè a Dio, ma l’uomo deve anche nutrire e “ordinare” la propria componente intellettuale, quella creativa e quella fisica.
Soprattutto in alcuni casi è possibile ci venga chiesto di “bruciare incenso a Cesare”, cioè di scendere a compromessi inaccettabili sui luoghi di lavoro, in particolare su tutti quei temi in cui la libertà religiosa si sta indebolendo a favore di “nuovi diritti”. Su tali diritti purtroppo non è più ammessa neppure una neutralità, in certi casi ormai la pressione perché si sottoscrivano affermazioni e politiche contrarie ai doveri di un cristiano è sempre più forte.
In questo caso Dreher consiglia prima di tutto di essere prudenti, di non cercare lo scontro dove non è necessario, anzi, di lavorare per avere ambienti di lavoro sereni, dove le loro opinioni non diventino dei vessilli per creare conflitti dove non ci sono. Consiglia, ove possibile, di lavorare per costruire buoni rapporti umani, alleanze con i colleghi, esponendo le proprie opinioni con serenità. Importante è continuare a parlare con tutti, anche con chi è diverso da noi, comprendendo bene che, soprattutto sui temi legati alla sessualità, le persone che ci circondano vivono in una cultura tossica e prima di tutto avrebbero un gran bisogno di trovare qualcuno che presenti loro un altro punto di vista.
Oltre ad essere prudenti, però, bisogna anche essere saldi, cioè non mentire a sé stessi sulla natura di alcuni compromessi, ed essere imprenditoriali, cioè pensare a come creare occasioni di impiego per i cristiani che siano obbligati a lasciare il proprio impiego, perché messi di fronte a un vero conflitto di coscienza.
Allo stesso modo, Dreher, incoraggia ad essere disposti a pagare, se necessario, un costo maggiore per alcune merci o servizi, al fine di sostenere le imprese cristiane, e di creare dei network che aiutino a dare lavoro a chi fatica a trovarlo o conservarlo a motivo della propria coscienza e a riscoprire anche alcune forme di imprenditorialità artigianale e di piccola industria che permettano di creare posti di lavoro, di rendere più forti economicamente i membri delle comunità locali e di avere un lavoro per sé e per i propri figli. Infine, bisogna prepararsi anche ad essere più poveri e marginalizzati, se è il prezzo da pagare.
“Abbiamo parlato a lungo in questo libro di cosa significhi creare le strutture e portare avanti le pratiche che allenano i nostri cuori ad essere prima di tutto i buoni servi del Signore, anche fino al punto del sacrificio. Questo è ciò che si presume faccia l’Opzione Benedetto: aiutarci ad ordinare tutte le parti delle nostre vite attorno a Lui. Nessuna di queste strategie funzionerà, comunque, a meno che i cristiani non pensino in maniera radicalmente diversa a proposito delle due forze più potenti che forgiano e guidano la vita moderna: il sesso e la tecnologia” (p.194).
Capitolo IX L’eros e la nuova controcultura cristiana
La sessualità è un dono che porta vita, gioia, abbondanza, ma per i cristiani c’è un solo modo di goderne: nel matrimonio tra un uomo e una donna. La stessa ascesi cristiana, invece che esserne la negazione, è la conferma della bontà del questo dono divino.
La sessualità non ha a che fare con il solo aspetto morale dell’essere umano, ma è una forza dirompente, capace di creare o distruggere.
“Le pratiche sessuali sono così centrali per la vita cristiana che quando i credenti cessano di affermare l’ortodossia su questo argomento, spesso cessano di essere effettivamente cristiani. Fu la forza controculturale della sessualità cristiana che sconfisse le pratiche disumanizzanti del mondo pagano. La cristianità insegnò che il corpo è sacro e che la dignità insita in ogni essere umano in quanto fatto a immagine di Dio richiede che sia trattato come tale.
Questo è il motivo per cui la moderna ripaganizzazione chiamata Rivoluzione Sessuale non può in nessun caso essere riconciliata con l’ortodossia cristiana” (p.197).
Il cristianesimo è una fede incarnata, e il nostro compito nella vita è di essere mezzi attraverso i quali Dio dà ordine alla creazione, la sessualità è una forza anche sociale, attraverso la quale nascono nuovi esseri umani, si costruiscono legami che fondano la famiglia, la società, i rapporti tra generazioni.
“(…) gli insegnamenti di Paolo sulla purezza sessuale e sul matrimonio furono adottati come liberatori nella cultura greco-romana pornografica e di sfruttamento sessuale del tempo, sfruttamento in particolare di schiavi e donne, il cui valore per i maschi pagani consisteva essenzialmente nella loro capacità di produrre figli e fornire piacere sessuale” (pp. 198-199).
“La castità, l’uso rettamente ordinato del dono della sessualità, fu la principale separazione che distinse i cristiani della Chiesa primitiva dal mondo pagano” (p.199).
“Nel cristianesimo ciò che una persona può fare con la propria sessualità non può essere separato da ciò che è” (p. 199).
Dreher, per tutti questi motivi, incoraggia a non allentare gli insegnamenti della Chiesa relativamente al matrimonio, al divorzio, alla contraccezione, all’omosessualità.
La sessualità è impregnata di un significato cosmico, il corpo è il tempio dello Spirito Santo, il rapporto tra Cristo e la sua Chiesa è descritto in termini di “nozze”. Vista in questi termini, la liberazione sessuale dei tempi moderni non è solo un errore morale, ma anche una menzogna metafisica.
Proprio per l’enorme forza riposta nella sessualità, la rivoluzione sessuale è stata la più potente e la più distruttrice delle rivoluzioni, “ha colpito al cuore dell’insegnamento biblico sul sesso e sulla persona umana e ha demolito la concezione fondamentale cristiana della società, delle famiglie e della natura dell’essere umano. Non può esserci pace tra il cristianesimo e la rivoluzione sessuale, perché sono radicalmente agli antipodi” (p. 201-202).
Anche tutto il movimento per i diritti omosessuali e in particolare l’ideologia del gender e i diritti LGBT sono un enorme inganno, che mette l’autodeterminazione al primo posto, slegando radicalmente il piacere sessuale dalla procreazione, e nega l’antropologia cristiana.
Dreher raccomanda che di questi temi si parli con i giovanissimi, li si metta in guardia e al riparo, spiegando loro che su quel campo si svolge una battaglia, che non può essere sottovalutata. Ciò non va fatto creando un tabù o una repulsione per il sesso, come forse veniva fatto in passato, va invece insegnata l’integrità dell’antropologia cattolica: che la sessualità è una cosa buona, che va ordinata al piano di Dio sulla nostra salvezza, che è un terreno di lotta spirituale, lotta prima di tutto per essere padroni di noi stessi e dei nostri impulsi. Ci vuole una personalità adulta per poter usare correttamente questa forza, all’interno di un rapporto sacramentale tra uomo e donna, aperto alla procreazione. Se rettamente intesa, è fonte di forza per gli esseri umani, se invece è disordinata ha un potere disgregante su tutta la personalità.
Il moralismo non è sufficiente. “Se la vera sfida della rivoluzione sessuale è cosmologica, una Chiesa che tenti di affrontarla con un moralismo borghese affronta una sparatoria con un coltello. Gli aridi, fragili precetti del moralismo sono ridotti in cenere di fronte al dramma erotico rivelato nella Bibbia.
Il Genesi ci dice che, fin dall’origine, il maschile, il femminile e il sesso sono creati da Dio e legati alla creazione” (p. 208). Tanto è distruttivo un erotismo individualista, quanto l’amore tra uomo e donna, in una retta antropologia cristiana, è il segno di un dramma cosmico, che trascende il tempo e lo spazio e che permette agli esseri umani di condividere “l’amor che move il Sole e l’altre stelle” (Dante, Paradiso, XXXIII, 145).
Dreher mette in guardia dalla forza corruttrice delle menti dei più piccoli costituita dalla pornografia dilagante e raccomanda ai genitori di limitare fortemente l’uso dei mezzi di accesso a tali contenuti (cellulari, tablet, internet…). Non basta delegare, ma i genitori devono essere i primi custodi dei propri figli, parlando con loro e spiegando loro. Per gli angolofoni, Dreher consiglia di guardare con i ragazzi The Humanum Series, una serie di video su youtube che permettono di affrontare con chiarezza e con tatto molti temi legati alla sessualità. Infine Dreher consiglia di amare e sostenere i giovani uomini e le giovani donne non ancora sposati, ad esempio attraverso attività a loro rivolte e attraverso una buona guida spirituale: i giovani adulti, infatti, non essendo più ragazzini, e non ancora sposati, a volte non trovano un posto preciso nella pastorale e nelle proposte delle nostre comunità.
Capitolo X L’uomo e la macchina
Partendo dalla considerazione quasi ovvia che molti di noi se devono affrontare poche ore di completa astinenza da internet si trovano spaesati e mettono istintivamente mano al cellulare con una frequenza molto maggiore di quella che desidererebbero, Dreher ci dice che in realtà il problema è molto più profondo.
L’attenzione frammentata, i frammenti che continuamente stimolano senza ordine la nostra mente, la rendono fragile e dipendente, ci fanno partecipare a una sorta di liturgia culturale che modifica radicalmente il nostro modo di pensare, fino a farci credere che tutto cada sotto il potere delle nostre scelte.
“Le famiglie e le comunità dell’opzione Benedetto che rimangono indifferenti di fronte alla tecnologia minano involontariamente praticamente tutto ciò che vorrebbero ottenere. La stessa tecnologia è una sorta di liturgia che ci insegna a inquadrare in un certo modo le nostre esperienze nel mondo e che, se non siamo attenti, distorce profondamente la nostra relazione con Dio, con gli altri e con il mondo materiale, e persino con la nostra auto-comprensione” (p. 220).
Contrariamente a quel che si crede, la tecnologia non è moralmente neutrale, al contrario è un modo di guardare al mondo che contiene in sé una comprensione dell’essere, della natura e della verità.
Neil Postman, nel suo libro del 1993, Technopoly[7], “spiegava che le culture premoderne permettono alle proprie convinzioni metafisiche e teologiche di regolare il loro modo di usare gli strumenti di lavoro. Solo con l’epoca moderna, con l’ascesa della tecnologia, i nostri strumenti hanno ribaltato le cose contro di noi e si sono conquistati il potere di dirigere le nostre convinzioni metafisiche e teologiche” (p. 221).
Inoltre, la tecnologia, rifiutando ogni limite, sopravvaluta il futuro, distruggendo il valore della tradizione, che viene vista come un limite alle infinite possibilità che ci si presentano davanti. L’uomo tecnologico è quello che dice “se possiamo farlo, dobbiamo essere liberi di farlo”, e ne vediamo tutti gli effetti devastanti nell’ambito ad esempio delle biotecnologie. La stessa rivoluzione sessuale, di cui si è parlato nel capitolo precedente, è l’ideologia della tecnologia applicata al corpo umano.
La tecnologia ci porta a porre l’accento sulla scelta, sul potere di scegliere, e per l’uomo tecnologico è più importante la facoltà di scelta di quello che viene scelto.
Per quanto riguarda internet, è un mezzo che altera il modo stesso con cui facciamo esperienza del mondo e la struttura fisiologica dei nostri cervelli. Ci rende inabili ad essere attenti, a concentrarci e a pensare con profondità. Per quanto l’uomo abbia necessità sia dell’azione sia della contemplazione, il mondo moderno è per molti versi ostile alla contemplazione. In questo modo si dissolve la stessa possibilità di una vita spirituale cristiana.
Per contrastare tale tendenza Dreher consiglia il digiuno digitale, da fare come pratica ascetica. Lo stesso controllo di sé richiesto per il digiuno del corpo è richiesto, e forse in misura ancora maggiore, per il digiuno digitale. “L’uomo i cui desideri sono sotto il controllo della ragione è libero” (p. 227), dice Dreher. La libera sottomissione dei monaci alla regola monastica può essere anche per noi fonte di ispirazione, ad esempio decidendo di spegnere ogni mezzo elettronico in certe ore, magari durante i pasti, durante i momenti in famiglia, la sera dopo una certa ora. “Se non controlli la tua attenzione, c’è un sacco di gente che anela a controllarla per te” (p. 228-229).
In particolare, Dreher raccomanda di tenere gli smartphones lontani dai bambini, non solo per i contenuti violenti e sessualmente espliciti in cui potrebbero imbattersi, ma prima di tutto per l’effetto devastante che questi strumenti possono avere su menti ancora in formazione e sulla loro capacità di stabilire sane relazioni interpersonali.
Dreher raccomanda anche di non usare mezzi elettronici durante la preghiera o la liturgica, così come di riscoprire il gusto della manualità. Fare cose con le proprie mani, cucinare, fare giardinaggio, cucire, fare esercizio fisico… sono tutti modi per ripristinare il nostro contatto con il mondo reale.
Infine, Dreher consiglia sempre di mettere in dubbio la bontà del progresso. “Per la maggior parte degli Americani il desiderio si autogiustifica. Per i consumatori, se puoi permettertelo, allora perché non comprarlo? Per i cittadini di una tecnocrazia, se la tecnologia esiste per darti quello che vuoi nessuno ha il diritto di opporsi.
La mente dell’uomo tecnologico non può resistere ai desideri del suo cuore, perché è stato educato dalla sua cultura a non porsi domande su di essi. L’uomo tecnologico arriva a credere che i limiti di ciò che può fare sulla natura risiedono principalmente nella sua capacità di sottometterla al proprio volere. I cristiani si devono ribellare a questa convinzione. La sola fortezza inespugnabile è metafisica, la convinzione che il significato trascenda noi stessi e sia radicato in Dio. Ci sono limiti oltre i quali non possiamo andare, se vogliamo vivere” (p. 234).
Bisogna resistere alla mentalità tecnologica, o la Chiesa cesserà di esistere, e la ragione principale di ciò è che la tecnologia è la causa di una perdita di memoria collettiva. “Senza memoria non sappiamo chi siamo e, se non sappiamo chi siamo, diventiamo qualunque cosa le nostre passioni momentanee desiderano che siamo” (p.235).
Dobbiamo avere delle pratiche quotidiane che mantengano in noi, nelle nostre famiglie e nelle comunità l’ordine sacro che ci è stato rivelato.
L’opzione Benedetto “non è una strategia per riportare indietro l’orologio a un’età dell’oro immaginaria. Ancor meno è un piano per costruire delle comunità per i puri, isolati dal mondo reale.
Al contrario, l’opzione Benedetto è una chiamata a intraprendere il lungo e paziente lavoro di recupero del mondo reale dall’artificio, l’alienazione e l’atomizzazione della vita moderna. È un modo di vedere il mondo e di vivere nel mondo che scalza la grande menzogna della modernità: che gli uomini non sono nient’altro che fantasmi in una macchina e che siano liberi di regolarne i meccanismi a loro piacere.
Conclusione: la decisione Benedetto
L’opzione Benedetto, è una questione di amore: se dovremo attraversare il grande diluvio, per mezzo della Chiesa, il Tempio restaurato, dobbiamo solcarne le acque verso la salvezza.
L’opzione Benedetto, in definitiva, significa decidere di essere cristiani seri, nella preghiera, nel digiuno, nel ricevere i sacramenti, nel sacrificio.
Tutto ciò è possibile nella stabilità, nel guardare alle generazioni che ci hanno preceduti e a quelle che seguiranno, per le quali bisognerà conservare il seme. Vengono inverni gelidi, ma il seme va conservato, se vogliamo che possa nuovamente fiorire quando ci saranno condizioni migliori.
Il libro di Dreher si chiude con il racconto di quel che è accaduto alla comunità dei monaci di Norcia dopo il terremoto del 2016, di come la comunità dei monaci e gli abitanti del paese avessero perso molto, alcuni tutto, ma le persone erano miracolosamente ancora tutte vive, e i monaci hanno subito deciso di ricostruire, far rinascere dalle le rovine un luogo che sia ancora una scuola del servizio del Signore, un luogo di preghiera e civilizzazione a cui gli uomini di oggi e di domani possano guardare come all’arca che ci porterà oltre al diluvio.
Note
[1]
V. Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, discorso di papa Benedetto XVI, Parigi , 22 settembre 2008.
[2]
“È sempre rischioso tracciare paralleli troppo precisi fra un periodo storico ed un altro, e fra i più fuorvianti di tali paralleli vi sono quelli che sono stati tracciati tra la nostra epoca in Europa e nel Nordamerica e l’epoca in cui l’impero romano declinava verso i secoli oscuri. Tuttavia certi parallelismi esistono. Un punto di svolta decisivo in quella storia più antica si ebbe quando uomini e donne di buona volontà si distolsero dal compito di puntellare l’imperium romano e smisero di identificare la continuazione della civiltà e della comunità morale con la conservazione di tale imperium. Il compito che invece si prefissero (spesso senza rendersi conto pienamente di ciò che stavano facendo) fu la costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale potesse essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale avessero la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e oscurità. Se la mia interpretazione della nostra situazione morale è esatta, dovremmo concludere che da qualche tempo anche noi abbiamo raggiunto questo punto di svolta. Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita intellettuale e morale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. E se la tradizione delle virtù è stata in grado di sopravvivere agli orrori dell’ultima età oscura, non siamo del tutto privi di fondamenti per la speranza. Questa volta, però, i barbari non aspettano di là dalle frontiere: ci hanno già governato per parecchio tempo. Ed è la nostra inconsapevolezza di questo fatto a costruire parte delle nostre difficoltà. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso” (Alasdair MacIntyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, University of Notre Dame, Indiana 1981 trad. it. Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Armando, Roma 2007).
[3]
Joseph Ratzinger nel 1969 affermava: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto.
Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali”. (fonte)
[4]
v. Jean Leclercq, L’Amour des lettres et le désir de Dieu, (trad it. Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo), Sansoni, Firenze 1965.
[5]
Su questo tipo di curriculum e su ciò che può generare, molto indicativa è la storia del monastero di Clear Creek, in Oklahoma, per chi volesse saperne di più, si rimanda all’articolo Nascantur in Admiratione.
[6]
Su Dorothy Sayers si veda anche un articolo sul blog Canone Occidentale.
[7]
Neil Postman, Technopoly, Vintage Books, New York 1993
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