Non contenta della superficie dell’argomento, ho provato a capire cosa si nasconda dietro la forte resistenza di una parte della scuola ai test Invalsi (v. post di ieri) e cosa invece significhi la loro difesa (v. post di Palmy).
Sembrerebbe una polemica tra i docenti che non hanno nulla da nascondere (e considerano i test benvenuti) e quelli che col solito spirito di casta italico rifiutano di far valutare il proprio operato. Posta così la questione, sto sicuramente con i primi. Però forse ci sono anche altre implicazioni da valutare.
Mi sono così imbattuta nelle riflessioni davvero illuminanti di Giorgio Israel (e non solo su questo argomento, su vari temi riguardanti la scuola e la didattica in generale).
Bisogna dire che Israel non è (non era) a priori contrario a questi test, purché venissero usati come primo strumento soprattutto per valutare oggettive situazioni di inadeguatezza del livello di insegnamento (mi faccio interprete del suo pensiero e spero di non averlo travisato). Non è neppure contrario a una seria valutazione degli insegnanti, anche se ritiene che questa debba seguire un’altra strada. E’ invece sempre più contrario al modo in cui i test stanno “prendendo la mano” a molti docenti, portandoli a sviare il normale corso delle lezioni per “addestrare” i propri studenti a superare brillantemente i test. Questo argomento è oggetto di un vivace dibattito negli Usa (dove i test standardizzati sono in uso da più tempo e più massicciamente), e significa che (cito lo stesso Israel):
Comunque, pur difendendo la necessità del massimo rigore e della massima trasparenza sui contenuti, non intendo affatto negare l’utilità dei test al fine di stabilire se esista un livello minimo di capacità in ortografia, grammatica, nozioni di base della matematica, ecc. Insisto sull’aggettivo “minimo”, perché se si pretende che con i test si possa valutare anche la capacità di uno studente di comporre un testo stilisticamente valido o di impostare correttamente un problema in termini matematici e risolverlo, allora siamo alla pura e semplice cialtroneria. Tuttavia, ripeto, si può concordare sull’utilità di base di test accuratamente pensati e verificati. Il vero problema è però quello accennato prima: e cioè che la didattica non si pieghi al fine del successo nei test. Questo significherebbe aprire la strada al famigerato “teaching to the test” – l’insegnamento completamente funzionale ai test – che ha fatto danni disastrosi laddove è stato applicato. Quando ho paventato questo rischio sono stato accusato di catastrofismo. Era un timore riduttivo perché, dai segnali che arrivano, purtroppo ci siamo. In vista dei prossimi test Invalsi in molte classi si è smesso di insegnare per dedicarsi all’addestramento a superare i test.
E’ esattamente quel che sta accadendo, lo so perché quest’anno mia figlia (v elementare) ha dovuto acquistare e svolgere interamente in classe un volume di esercitazioni al test.
Per approfondire:
http://gisrael.blogspot.com/2011/04/la-scuola-ridotta-corso-di.html
e, sulla tanto decantata supremazia della didattica finlandese:
http://gisrael.blogspot.com/2011/05/il-bluff-della-matematica-finlandese.html
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