L’istruzione è, per vocazione famigliare non per mestiere, la mia trincea quotidiana.
Patisco ogni giorno la pochezza dei programmi, la confusione dei contenuti, l’accumulo di centinaia di nozioni sciocche o banali che non ne fanno una importante. Soprattutto l’umiliazione dell’intelligenza dei nostri figli, tenuta sempre al regime più basso possibile.
Più si mettono in campo paroloni e alte aspirazioni – comprensione del testo, mappa concettuale, educazione ambientale, educazione alla cittadinanza…- più i ragazzi non sanno leggere testi che non siano preventivamente annacquati, adattati, omogeneizzati, della matematica afferrano sempre meno i concetti e sempre più le “procedure”, la storia e la geografia sono biscotti troppo sbriciolati per avere un gusto appetitoso. Immaginate una generazione di bambini che non venga mai svezzata completamente, che si fermi al livello degli omogeneizzati a tempo indeterminato: a trent’anni, se prova a mangiare una bistecca e bere un goccio di vino rischia la congestione, certi cibi non si digeriscono più, lo stomaco ormai sa solo assimilare pasti sminuzzati e insapori. Ecco, questo è ciò che fa la scuola con le menti dei nostri figli.
L’impressione è che una tetragona casta di “specialisti” non impari mai nulla dai propri errori e, negli ultimi cinquant’anni, abbia messo in pratica le proprie teorie pedagogiche a ogni costo: e se la realtà ha dato loro torto, tanto peggio per la realtà. Il grande trucco, quello che copre tutte le nefandezze, è l’idolatria del metodo: sparisce completamente il discorso su “cosa” bisognerebbe insegnare e imparare, per concentrarsi sul “come”: autoapprendimento, apprendimento tra pari, lavagne elettroniche, tablet, metodologie varie… tutto per non dire che la grammatica ha delle regole, la storia delle date, la geografia delle capitali. Insomma, se si tenta un discorso sui contenuti si è immediatamente tacciati di “nozionismo”, l’insulto peggiore nel mondo della scuola, peggio di “bullo” o “omofobo”, che pure vanno molto di moda.
Tuttavia, fatte salve le buone intenzioni individuali, di cui sappiamo essere lastricata la via dell’inferno, mi sembra di poter ravvisare anche un piano generale: l’ideologia di un’uguaglianza così estrema, da non tollerare la banale evidenza che ci sono persone più intelligenti e altre meno, persone più o meno portate per lo studio, o più o meno disposte a faticare sui libri.
Ogni tentativo di abbassare il livello richiesto, in funzione di una maggiore “democrazia” dell’istruzione, non riesce ad eliminare del tutto le differenze di dotazione e di impegno personale. Così, prima lentamente, ma poi in modo sempre più impetuoso, è iniziata la corsa verso la tabula rasa: non essendo possibile l’uniformità verso l’alto, si insegue affannosamente l’uniformità verso il basso, l’uguale, indifferenziata, invincibile ignoranza.
La soluzione generale sembra molto al di fuori della nostra portata, interessanti in questo senso sono le riflessioni che da anni conducono pubblicamente due autori come Paola Mastrocola e Giorgio Israel, la soluzione individuale invece è non arrendersi, prendere in mano la situazione, dare libri seri da leggere, idee grandi da annusare, film non banali da vedere… cioè fare un lavoro in famiglia che è duro, faticoso e a volte poco comprensibile dai figli, in prima battuta almeno, ma che dica chiaramente che gli uomini non solo sono capaci di grandezza, ma a questa grandezza sono chiamati, in mille modi. Anche uno spazzino, una mamma, le persone più nascoste e meno note del mondo, sono chiamate alla grandezza: la grandezza del cuore e quella della mente, la grandezza delle mani, l’offerta dei propri talenti a Dio.
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