“L’argilla è nelle mani dei santonnier ciò che l’uomo è nelle mani di Dio“
Frédéric Mistral
I santons (piccoli santi) provenzali sono statuine d’argilla colorata, tipiche della zona a sud della Francia, soprattutto attorno a Marsiglia. Il vero santonnier, il fabbricante di santons artigianali, vi dirà che la sua attività ha come predecessore niente di meno che Dio stesso, che nel Genesi forgia l’uomo nell’argilla.
Il presepe in francese si dice créche, in provenzale crècho, e deriva dal termina latino cripia, mangiatoia, cioè il luogo in cui, secondo il Vangelo di san Luca (cfr. Lc 2,7), Gesù è stato deposto appena nato. L’iconografia della Natività è molto antica: la prima rappresentazione conosciuta risale a un affresco del III secolo che si trova nelle catacombe di Santa Priscilla, a Roma. Un’altra raffigurazione antichissima, risalente alla fine del IV secolo d.C., è sul sarcofago dei Santi Innocenti, che si trova nella cripta della basilica di Saint-Maximin, in Provenza. Sempre in Provenza, ricordiamo anche la natività scolpita in un capitello del X secolo d.C., situato nel chiostro della chiesa di Saint-Trophime.
La data del Natale fu fissata al 25 dicembre da papa Liberio, nell’anno 354 d. C. In precedenza, non c’era accordo su un’unica data e il giorno della celebrazione poteva variare a seconda delle varie comunità regionali. Papa Liborio volle cogliere in alcune feste pagane largamente diffuse a Roma, e in particolare la festa del Sol Invictus, la prefigurazione di elementi cristiani e decise di sovrapporre le date della celebrazione al fine di “cristianizzare” la festa.
Il primo “presepe”, come tutti sanno, fu messo in scena da san Francesco (1182-1226) e alcuni suoi frati a Greccio, in provincia di Rieti, la notte di Natale del 1223. Il paesaggio di quel paese montano ricordava a Francesco le colline della Palestina. Fu così che Francesco, di ritorno da Roma, dove aveva appena ricevuto l’approvazione della sua Regola da papa Onorio III (1150-1227), ed essendo in prossimità del Natale, ebbe desiderio di vedere con gli occhi della carne l’immagine della Natività che aveva nel cuore. Con la collaborazione di alcuni frati, furono interpretati tutti i personaggi presenti nella grotta a Betlemme. Tommaso da Celano, biografo del santo, annota: “Ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia”.
Presto la pratica si diffuse, in primo luogo in Campania, nella zona del napoletano poi, grazie ad alcuni frati francescani, arrivò in Provenza verso la fine del XIII secolo. Poco alla volta le rappresentazioni di presepi viventi lasciarono il passo a raffigurazioni della Natività allestite all’interno delle chiese. La vera origine del presepe come lo conosciamo oggi (con le statuine) si deve a san Gaetano da Thiene (1480-1547).
I santons non solo hanno a che fare con la Natività, ma nella loro origine c’è anche il ricordo della violenza anti-cristiana della Rivoluzione francese (1789), che volle vietare le rappresentazioni pubbliche della Natività e proibire la celebrazione della Messa di mezzanotte a Natale. Gli abitanti della Provenza non si diedero per vinti e ricostruirono privatamente nelle loro case le scene della Natività che erano abituati a vedere nelle chiese. In un primo periodo i personaggi erano fatti di mollica di pane dipinta, poi poco a poco prese piede l’argilla. Nacque così una tradizione di devozione popolare, ma anche un’industria artigianale ancora profondamente radicata e viva nel territorio.
Già nel 1798 il marsigliese Jean-Louis Lagnel (1764-1822) inventa i calchi in gesso, rendendo la produzione di santons più seriale e dunque economica, contribuendo quindi alla loro diffusione anche nei ceti più popolari. La produzione locale vede presto la concorrenza anche degli artigiani napoletani, che in Provenza vendono le proprie statuine con il nome di “santibelli”.
Nel 1803 si tiene la prima fiera dei santons a Marsiglia, che continua ancora ai giorni nostri e ha superato ormai la sua duecentesima edizione.
Come molte altre tradizioni artigianali legate al presepe, i santons hanno uno stile proprio e dei personaggi caratteristici: oltre ai personaggi della Sacra Famiglia, ai re Magi e ai pastori, si trovano ad esempio le farandoleuses, le danzatrici di farandola, e l’inseparabile tamburino, che detta il ritmo della loro danza, oppure l’arlésienne, cioè una donna vezzosa in abiti tradizionali di Arlés protagonista di un’opera di Alphonse Daudet, nel corso della quale il giovane Jan si innamora di lei e, saputo che si tratta di una donna leggera, alla fine si suicida, o ancora i pittori Paul Cézanne o Vincent Van Gogh, gli scrittori Alphonse Daudet e Frédéric Mistral, i personaggi letterari come Tartarin di Tarascona, le raccoglitrici di lavanda e quelle di olive, i giocatori di pétanque, c’è il sindaco in abiti repubblicani, ma ci sono anche i cavalli e le croci della della Camargue, i marinai di Marsiglia, l’uomo sdraiato, detto anche “l’incredulo”, quello in estasi e anche un personaggio un po’ triviale, come l’uomo che caga o, detto in provenzale che è certamente più fine, lou cagaïre.
Invariato: Altri personaggi del tutto specifici di questo presepe sono i gitani di Saintes-Maries-de-la-Mer e il vedovo che avanza guidato dall’unico figlio che gli resta: gli altri gli sono stati rapiti dagli zingari e l’uomo è diventato cieco a forza di piangerli – tornerà a vedere come miracolo di Natale e grazie a ciò potrà ritrovare anche i figli dispersi. I gitani prendono il nome di boumian e boumiane, cioè i bohémiens: il nome stesso di questi zingari ha un’origine legata alla cristianità. Fu infatti un conte di Provenza a ordinare che i gitani della zona vivessero obbligatoriamente alla Sainte-Baume, la grotta indicata dalla tradizione come la residenza di santa Maria Maddalena – patrona della Provenza – durante i suoi ultimi anni di vita, precorritrice della vita eremitica e monastica in Europa. Da Sainte-Baume derivano i nomi boumian, boumiane e, dunque, bohémiens. Anche i gitani comunque alla fine sono redenti: si pentiranno e chiederanno perdono al vedovo per avergli rapito il figlio.
Altri personaggi particolari sono Bartoumieu, un garzone di campagna, con una certa propensione alla bottiglia, raffigurato con una bretella calata, due cesti di cibo e un merluzzo intero in mano, Pistachié, di buon cuore, con i pantaloni verdi, anche lui ha l’aria un po’ arruffata, donnaiolo impenitente, è il cantoniere del villaggio, la bastidane, cioè la signora del casolare, la cui particolarità è la gonna trapuntata, o a boutis, secondo una tecnica tipica della zona, oppure Grasset et Grassette, due vecchi ben vestiti con gli abiti della festa, braccio sotto braccio, lui porta un ombrello rosso, lei un paniere con delle vettovaglie, o ancora il signor Jourdan e sua moglie Margarido (Margherita), brontolona e litigiosa, ma che come miracolo di Natale ritroverà il buon carattere, e infine Vincent e Mireille, due giovani fuggiaschi per poter coronare il proprio sogno d’amore, contrastato dal padre di Mireille, Roustido. Vincent vorrebbe sposare subito Mireille, ma lei preferisce andare prima a vedere il Bambino, convinta che alla vista della grotta anche suo padre Roustido si intenerirà e concederà infine il suo consenso alle nozze. Roustido inoltre è amico del signor Jourdan e di sua moglie, tutti e tre sono di estrazione borghese. Roustido è l’ultimo ad avviarsi verso la capanna, ma non prima di essersi infilato i pantaloni eleganti e la marsina, oltre ad aver preso con sé qualcosa da mangiare, spesso è raffigurato con una lanterna in mano.
Ma da dove nascono tutti questi personaggi? Per i contadini, gli artigiani, i marinai, basta osservare la vita quotidiana, altri sono poeti e scrittori che si possono considerare “glorie” della Provenza, ma alcuni derivano da alcune “pastorali”, cioè rappresentazioni recitate e cantate da mettere in scena nel periodo natalizio. La più famosa tra queste è la pastorale Maurel, scritta da Antoine Maurel (1815-1897) in lingua provenzale nel 1844.
L’anno scorso in famiglia abbiamo iniziato a fare un presepe di santons, alloggiato in un piccolo diorama costruito da me. Costruire diorami è un’attività manuale divertente e gratificante, che fa vivere in modo molto più vivo e approfondito il rapporto con il presepe. L’esperienza dell’anno passato era stata talmente entusiasmante che quest’anno ho deciso di lanciarmi in un’avventura più complessa, sebbene ancora molto rozza e lontana da alcuni capolavori artigianali, a cui danno vita i veri appassionati.
Quello che personalmente amo del presepe è la dolcezza di una semplice scena di vita quotidiana, la nascita di un bambino, che misteriosamente riguarda ogni personaggio nella scena. Tutto è redento: i pastori che adorano, l’angelo, il bue e l’asinello, i re Magi, ma anche quelli più lontani o distratti, quelli che continuano la loro vita quotidiana, noi che guardiamo, gli animali, le acque, il cosmo stesso, rappresentato dalla stella cometa, tutto è toccato nelle fibre più profonde dalla nascita di un bambino, dal Verbo che si è fatto carne: “et homo factus est”, come ripetiamo nel Credo.
Il presepe rende plasticamente visibile, alla nostra portata, nel piccolo della nostra quotidianità, il più grande dei misteri: che un Dio abbia tanto amato gli uomini da dare il suo unico Figlio per la loro salvezza.
Ecco dunque passo passo i lavori di quest’anno (2017):