Ripropongo di seguito il mio articolo apparso il 14 gennaio 2015, sul quotidiano La Croce.
I recenti attentati terroristici che hanno sconvolto la Francia richiedono prima di tutto una dura condanna di ogni atto di violenza che usa le provocazioni come pretesto per seminare morte e panico.
Tuttavia si rischia di confondere la doverosa pietà per le vittime con la loro santificazione. «Charlie Hebdo» e i suoi giornalisti non erano parte di una controcultura eroica e sotterranea, ma facevano parte a pieno titolo del mainstream della laïcité alla francese: una cultura dove la libertà di parola e di religione è dosata in funzione del gradimento espresso dalla cultura dominante e dai poteri forti.
Senza risalire alle guerre di spopolamento in Vandea a seguito della Rivoluzione Francese, proviamo a fare un breve quadro del passato prossimo: nel 1996 la Francia pubblica l’elenco 173 “sette pericolose”, sospettate – tra l’altro – di manipolazione mentale. Tra queste troviamo gli ebrei hassidim, i testimoni di Geova, gruppi cattolici carismatici, la Soka Gakkai e Scientology .
Nel 2001 entra in vigore una legge “anti-sette”. Nello stesso anno è abbattuta ad opera dell’esercito la statua religiosa di un piccolo gruppo di fedeli della religione aumista, che ha sede sui Pirenei.
Nel 2004 il parlamento francese approva la legge contro i simboli religiosi a scuola e nei luoghi pubblici, detta legge “anti-velo”, che in realtà proibisce anche kippah e croci visibili. Nello stesso anno viene approvata una legge sull’omofobia che proibisce di dire pubblicamente che i figli hanno diritto a una mamma e a un papà.
Nel 2006 la Commissione sui Diritti Umani delle Nazione Unite redige un rapporto sull’intolleranza religiosa dello stato francese.
Nel 2008 Vincent Peillon, attuale ministro dell’educazione del governo Hollande, affermava: «Non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica».
Al contrario, Inna Shevchenko, leader del gruppo Femen, nel 2013 è finita su un francobollo commemorativo de la Republique, nonostante il gruppo a cui appartiene si sia distinto per atti dissacratori all’interno di chiese cattoliche. Nello stesso anno sono numerosi gli interventi di repressione, anche poliziesca, contro La Manif pour tous e i manifestanti contrari al matrimonio omosessule.
All’inizio del 2014 viene modificata la legge sull’aborto, creando una specie di reato di “abortofobia”, in pratica non solo è vietato ostacolare in qualunque modo l’intenzione di abortire di una donna, ma si impedisce di darle qualunque informazione che potrebbe provocare un ripensamento: gli attivisti pro-life che si avvicinano agli ospedali, così come quelli che gestiscono siti internet pro-life, rischiano sanzioni e anche la prigione.
Risulta piuttosto evidente come nel quadro della laicità francese non tutte le libertà siano ugualmente tutelate: la tutela è tanto maggiore quanto le libertà vanno contro la religione in generale e il cattolicesimo in particolare.
Come guardare allora ai recenti atti terroristici di Parigi, senza ridurli a un semplice “essere” o “non essere” Charlie?
Forse potrebbe essere utile non ridurre tutto a una reazione spropositata contro delle vignette blasfeme. La blasfemia, e non verso una sola religione, c’è stata ed è stata l’occasione prossima, ma forse bisognerebbe leggere il fatto puntuale in una trama più ampia. Ecco alcuni fili di questa trama: c’è una componente, minoritaria ma agguerrita, del mondo islamico che vuole spazzare via non solo l’occidente, che considera corrotto, ma anche ogni islam moderato. Invoca il rispetto e la tolleranza fino a quando si trova in posizione di debolezza, ma ha pronta la shari’a da imporre a fil di spada non appena ritenga di averne le chances. Un islam che rifiuta di essere criticato dove è in minoranza, sventolando il reato di islamofobia, mentre è pronto ad uccidere, stuprare e ridurre in schiavitù laddove ne abbia il potere. I nomi dell’Isis e di Boko Haram valgano come esempio per tutti. Questo islam non solo non si diluisce tra gli immigrati nei paesi occidentali, ma al contrario molto spesso conosce nei cittadini europei di seconda o terza generazione una radicalizzazione su cui bisogna riflettere seriamente. In bilico tra due culture, l’islam mediamente più moderato dei loro genitori e la società occidentale, materialista, complessata, contraddittoria e relativista, scelgono una terza via. Si radicalizzano facendo scelte estreme, cercando una presunta purezza nel fondamentalismo, che è sempre un fenomeno moderno di ritorno a un rigore delle origini ampiamente immaginario. Pare proprio che atti come quelli di Parigi siano un enorme spot per coalizzare gli animi attorno a questo islam e, indifferenti a milioni di persone – anche musulmane – che condannano senza se e senza ma ogni atto di terrorismo, agli estremisti basta trovare qualche migliaio di nuovi combattenti pronti a lasciare l’Europa per unirsi ai combattenti in Iraq, Siria o altrove.
Come si affronta questo nemico asimmetrico, ricco di figli, soldi e armi, e senza nessuno scrupolo nell’usarli?
Non è facile dirlo, forse intanto non chiudendo gli occhi recitando il mantra dell’islam sempre e comunque religione di pace e tolleranza, non – soprattutto – lasciando proliferare numerose zone d’ombra nei nostri paesi, dove si infibula nel sottoscala, si applica la legge coranica nelle sale di preghiera, si portano davanti alla decisione dell’imam questioni che riguardano non solo il diritto di famiglia – ed è già grave – ma anche la giustizia penale. Non va affrontato permettendo ai musulmani di avere quartieri propri, come accade in Gran Bretagna, al di fuori della legge, in cui le scuole sono centri di propaganda, e le strade sono pericolose per i non islamici.
Cioè, andando ancora più a fondo, il problema si affronta andando all’origine del nostro vivere in comune, dei principi che informano le nostre leggi, dei valori che riteniamo intangibili. Ma, prima di tutto, cercando di capire che le civiltà, come la natura, non tollerano il vuoto: in un certo senso il cancro laicista, che rende sempre più disumane le nostre società, e la denatalità, che le svuota, rendono marcio dall’interno quell’occidente che non sa resistere poi all’arrivo del radicalmente diverso. Non è l’islam che ci conquista, siamo noi che ci stiamo suicidando.
Sarebbe inutile, dunque, contrapporte al fondamentalismo dell’islam il fondamentalismo della laicità. Stiamo vedendo due totalitarismi che si affrontano, ma dobbiamo avere ben chiaro che la civiltà occidentale, o quel che ne resta, va difesa proprio in quanto non si identifica con il culto dello stato che controlla le coscienze: al contrario si basa su quello straordinario incontro di cultura greco-latina, giudeo-cristiana e barbarica che nell’Incarnazione del Figlio di Dio, nel Logos vivente, vede la base della dignità umana, in cui il rispetto del sacro rende possibile la convivenza tra gli uomini, in cui la libertà di espressione ha un limite nella verità e la ragione è alleata, non antagonista, della religione. Una lezione che nel 2006, a Ratisbona, Benedetto XVI non ha dato solo all’islam, ma anche ai laicisti di casa nostra.
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